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Il diritto d’autore

Indice

Definizione

Il diritto d’autore è un istituto giuridico, all’interno del diritto privato, che ha lo scopo di tutelare i frutti dell’attività intellettuale di carattere creativo (ovvero le opere devono essere nuove ed originali), attraverso il riconoscimento all’autore originario (o agli autori in caso di collaborazione creativa) dell’opera di una serie di diritti di carattere sia morale, sia patrimoniale. Il diritto d’autore si applica ad arti figurative, architettura, teatro, cinematografia, programmi per elaboratore e banche dati, ma alcune opere non sono tutelate, ad esempio le leggi o i testi degli atti ufficiali dello Stato o delle amministrazioni pubbliche.

Il soggetto titolare dei diritti d’autore è generalmente colui che crea l’opera, ma vi sono delle eccezioni: per quanto riguarda una testata giornalistica, ad esempio, il detentore dei diritti è l’editore, anche se i vari articoli sono stati scritti da altri dipendenti (che però mantengono i diritti morali in quanto effettivi creatori dell’opera in questione); oppure per un’opera cinematografica, chi detiene i diritti è il produttore.

L’esercizio in forma esclusiva di questi diritti da parte dell’autore permette a lui e ai suoi aventi causa di remunerarsi per un periodo limitato nel tempo attraverso lo sfruttamento commerciale dell’opera. In particolare, il diritto d’autore è una figura propria degli ordinamenti di civil law (tra i quali la Francia e l’Italia), mentre in quelli di common law (come gli Stati Uniti e il Regno Unito), esiste l’istituto parzialmente diverso del copyright. Spesso si usa impropriamente la parola copyright per riferirsi alle norme sul diritto d’autore degli ordinamenti civil law.

Scopi e impatto sulla collettività

Dietro all’atto creativo c’è un impegno, un lavoro e un investimento di tempo (spesso anche di denaro), che rendono quindi l’atto creativo un’attività da tutelare riconoscendo i meriti del suo creatore. In questo modo si permette alle persone di poter rendere il lavoro creativo un lavoro a tutti gli effetti con cui poter guadagnare.

Le norme sul diritto d’autore non rappresentano un vantaggio solo per le persone che detengono i diritti esclusivi sulle opere perchè le persone sono incentivate a produrre nuove opere e questo è un beneficio per tutta la collettività. D’altra parte però è vero anche che il fatto che l’utilizzo e la modifica di un’opera sia possibile solo per chi ne detiene i diritti o chi de esso ne riceve una licenza di utilizzo (sotto pagamento) rappresenta una limitazione per la collettività intera che non può liberamente usufruire di tale opera anche allo scopo di migliorarla o produrre qualcosa di ancora più innovativo a partire da essa.

Le norme sul diritto d’autore prevedono quindi che lo sfruttamento esclusivo di un’opera intellettuale sia limitata nel tempo. Questa durata dipende dal tipo di opera ed è stata spesso modificata nel tempo.

La diffusione della rete internet e di tecnologie quali file-sharing e reti peer-to-peer ha reso centrale il dibattito sulla durata del diritto d’autore, attualmente fissata (con varie eccezioni) a 70 anni dalla morte dell’autore dell’opera. Queste nuove tecnologie hanno richiesto un adeguamento delle norme in vigore che non contemplavano inizialmente i media digitali, con istanze portate avanti anche da veri e propri partiti politici, come il Partito Pirata Europeo.

Dalla sua introduzione formale, il diritto d’autore ha progressivamente visto aumentare quasi ovunque la sua durata, passando dai 14 anni iniziali negli Stati Uniti nel 1790, al minimo di 50 anni stabilito dalla Convenzione di Berna, arrivando fino ai 70 anni attuali. Sempre negli USA, l’approvazione del Copyright Term Extension Act ha ulteriormente esteso per alcune opere la durata dei diritti sino a 95 anni (il caso più famoso riguarda Topolino, motivo per cui la legge è anche nota come Mickey Mouse Protection Act).

Diritto internazionale

Le opere dell’ingegno creativo, avendo una naturale tendenza a una diffusione estesa e potenzialmente senza limiti (opere materiali e immateriali), richiedono una protezione che vada al di là di quella che può essere apprestata a livello nazionale e che soprattutto presenti un livello minimo di uniformità in tutti i paesi. Non a caso, il par. 2 dell’art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani riconosce il valore supremo dello sforzo dell’ingegno umano e sancisce quindi che «ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria ed artistica di cui egli sia autore». Gli accordi internazionali sul diritto d’autore che si sono susseguiti nel tempo sono molti, dalla convenzione di berna del 1886 al trattato di Marrakech del 2013. La prima legge nazionale a regolare il copyright è invece lo statuto d’Anna approvato in Gran Bretagna nel 1710.

Per approfondire l’argomento puoi trovare qui la cronologia delle principali leggi nazionali e internazionali sul diritto d’autore. Qui invece è trattata in dettaglio la storia del diritto d’autore

Diritti dell’autore

Le norme sul diritto d’autore identificano due distinti diritti dell’autore, uno morale e uno patrimoniale.

Diritto morale

Il diritto morale d’autore è uno dei diritti d’autore riconosciuto praticamente in tutte le legislazioni, anche in quelle di common law. Questo diritto “nasce” dal momento in cui l’atto/opera creativa si manifesta. È una forma di diritto la cui durata di tempo è illimitata, cioè continua a protrarsi anche dopo la morte dell’autore stesso. All’autore contraente tale diritto spettano le fondamentali e inalienabili facoltà di rivendicare la paternità dell’opera.

In Italia la paternità dell’opera è irrinunciabile salvo modifica esplicita autorizzata dall’autore in vita (come ad esempio nel caso dei ghostwriter). Dopo la sua morte gli eredi possono manifestare e rivendicare in totalità e senza limiti temporali i diritti morali dell’autore deceduto. Qualora le finalità pubbliche lo esigano, la relativa azione può essere esercitata dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Solo l’autore può decidere se e quando pubblicare la sua opera. Può anche lasciarla per sempre inedita od opporsi alla prima pubblicazione, recedendo da contratti che l’abbiano autorizzata. Il diritto di inedito si esaurisce con la pubblicazione dell’opera. Se l’autore ha espressamente vietato la pubblicazione di una sua opera, neppure gli eredi, alla sua morte, possono esercitare questo diritto, che può essere espropriato solo per ragioni di interesse dello Stato.

Diritto patrimoniale

I diritti patrimoniali sono i diritti esclusivi dell’autore di utilizzare economicamente la sua opera e di trarne un compenso per ogni tipo di uso.

A differenza dei diritti morali, i diritti patrimoniali sono rinunciabili e hanno un limite temporale, cui la Convenzione Universale di Berna pone una soglia minima di 50 anni.

In Italia i diritti patrimoniali riconosciuti all’autore di un opera sono:

  • Pubblicazione: “l‘autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera”
  • Riproduzione: “la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione”
  • Trascrizione: riguarda le opere orali e consiste nel poter trascrivere l’opera
  • Esecuzione e rappresentazione: “l’esecuzione, la rappresentazione o la recitazione, comunque effettuate, sia gratuitamente che a pagamento, dell’opera musicale, dell’opera drammatica, dell’opera cinematografica, di qualsiasi altra opera di pubblico spettacolo e dell’opera orale”
  • Comunicazione al pubblico distante: trasmettere l’opera in radio, televisione, internet…
  • Distribuzione: “il diritto esclusivo di distribuzione ha per oggetto la messa in commercio o in circolazione o comunque a disposizione del pubblico, con qualsiasi mezzo ed a qualsiasi titolo, dell’originale dell’opera o degli esemplari di essa”
  • Modificazione: modifiche di valore creativo possono costituire una dannosa concorrenza alla utilizzazione economica dell’opera
  • Traduzione, elaborazione, pubblicazione delle opere in raccolta
  • Noleggio e Prestito

Diritto d’autore e Software

Fino ad ora sono state descritte le norme sul diritto d’autore in generale. In seguito alla rapida diffusione dei dispositivi elettronici e di internet le normative hanno dovuto adattarsi molto velocemente a nuove forme di riproduzione e condivisione di tutte quelle opere riproducibili da un computer compresi i software. Il primo atto normativo che tutela un software è stato introdotto negli Stati Uniti d’America nel 1980 attraverso il “Computer Software Copyright Act”. Da allora sono state moltissime le leggi approvate nei vari stati del mondo a riguardo.

Le regole applicabili ai software sono in generale le stesse precedentemente descritte riguardo i diritti morali e patrimoniali. Di seguito sono analizzate le regole riguardanti le licenze d’uso.

Solo coloro ai quali è attribuito il diritto d’autore possono accordare e concedere la diffusione di copie del software. Le attività di acquisto e vendita di copie non autorizzate di software è un reato. Quando si acquista un software si acquista in realtà una licenza d’uso. L’acquisto integrale di un software avviene molto raramente e implica il possesso dei file sorgenti di tale programma che sono molto costosi. L’acquisto di sorgenti di un programma, è paragonabile all’acquisto di un brevetto.

Esistono tanti tipi di licenze d’uso che però devono tutte rispettare le regole generali stabilite dalla legge. Ad esempio la legge prevede che condividere copie del software è permesso solo al proprietario del diritto d’autore e non è possibile farlo se si è solo in possesso di una licenza d’uso. Secondo la legge però non è la copia in se del software che è reato, ma solo la condivisione con terzi, la copia infatti è permessa se:

  • è necessaria all’uso del programma;
  • è effettuata allo scopo di studiare il programma;
  • costituisce una copia di riserva;
  • costituisce una copia per decompilare il programma per ottenere l’interoperabilità con altri programmi.

Normalmente la licenza d’uso viene concessa a fronte di un pagamento (acquisto della licenza d’uso). Esistono tuttavia software che vengono distribuiti gratuitamente. Questi software ad uso gratuito vengono chiamati con termini specifici a seconda del tipo di licenza ad essa associati. Questi software sono:

  • Shareware: software gratuitamente utilizzabile solo per un breve periodo di tempo. Viene anche chiamato software di valutazione, in quanto per poterlo usare, al termine del periodo di valutazione (normalmente 30 o 60 giorni), è necessario acquistarlo.
  • Freeware: software utilizzabile gratuitamente, senza limiti di tempo.
  • Demo: software promozionale in versione ridotta e completamente gratuito. Nei videogiochi, a esempio, è consuetudine rilasciare la versione demo alcuni mesi prima dell’uscita sul mercato del programma completo.
  • Adware: software distribuito come freeware, che tuttavia richiede all’utente la visione di messaggi pubblicitari per il suo utilizzo.
  • Donationware: software distribuito gratuitamente come freeware. L’autore, tuttavia, chiede agli utenti del proprio software di fare una donazione facoltativa.
  • Abandonware: software obsoleto che non viene più commercializzato da lungo tempo ed è quindi considerato “abbandonato”. La licenza è pertanto di tipo freeware anche se originariamente era proibita la ridistribuzione.

É importante sottolineare che tutti questi tipi di software sono software proprietari ovvero software protetti dalle norme del diritto d’autore e il cui codice sorgente rimane segreto e di proprietà del detentore di tale diritto.

Codice sorgente e file eseguibili

Una delle differenze più importanti fra il software proprietario e il software libero e open source risiede nella disponibilità o meno del codice sorgente. É importante quindi comprendere che cosa siano un codice sorgente e un file eseguibile.

Quando un programmatore scrive un programma non lo scrive nel linguaggio macchina che è formato da sequenze di bit che codificano per le istruzioni che il processore è in grado di eseguire poichè sarebbe troppo lungo e difficile. I programmi si scrivono utilizzando dei linguaggi un po più simili ai linguaggi naturali che comunemente parliamo come l’inglese o l’italiano. Questi linguaggi, detti linguaggi di programmazione permettono agli sviluppatori di indicare con parole normalmente derivate dall’inglese (lingua internazionale di fatto dell’informatica) e simboli matematici le operazioni da effettuare. Esistono linguaggi di programmazione simili al linguaggio macchina che vengono definiti per questo motivo di basso livello e altri invece che riescono a descrivere con poche parole operazioni più complesse e astratte, analogamente a quanto fatto con i linguaggi naturali, e per questo vengono definiti di alto livello. Per alto o basso livello quindi non si intende qualcosa di positivo o negativo ma solo più vicino all’hardware o più astratto e vicino al nostro modo di pensare. A parte il linguaggio assembler che ha una corrispondenza 1 a 1 con il linguaggio macchina (in pratica usa solo delle parole chiave per descrivere esattamente le istruzioni del linguaggio macchina) che richiede solo una veloce traduzione nel linguaggio macchina, tutti i linguaggi sono molto diversi dal linguaggio macchina ed è possibile che singole istruzioni in un linguaggio di programmazione vadano trasformate in diverse istruzioni in linguaggio macchina, motivo per cui risulta più facile e veloce per un essere umano usare un linguaggio di alto livello. Questa trasformazione viene definita compilazione ed è svolta da specifici programmi chiamati compilatori.

Compilare il codice sorgente è un’operazione che si fa frequentemente e velocemente quando si ha a disposizione un compilatore. L’operazione inversa invece è spesso molto complicata. Per chi produce e distribuisce software proprietario questo è un grande vantaggio perchè è possibile distribuire la versione eseguibile cioè già compilata dei propri programmi senza che gli utenti abbiano la possibilità di risalire al codice sorgente. Non conoscere il codice sorgente significa non conoscere davvero il funzionamento di un software rendendo l’utente completamente dipendente dal produttore.

Software libero

Il software libero (dall’inglese free software o libre software) è un software distribuito sotto i termini di una licenza di software libero, che ne concede lo studio, l’utilizzo, la modifica e la redistribuzione grazie all’utilizzo delle suddette particolari licenze software.

Storia

L’idea di software libero nasce agli inizi degli anni ottanta, quando lo sviluppo del software cominciò a passare di mano dalle università alle aziende (software proprietario), ponendo un pesante freno alla collaborazione che caratterizzava il lavoro di gran parte dei programmatori e dei sistemisti dell’epoca, soprattutto con i patti di non divulgazione che le aziende facevano firmare ai programmatori che assumevano.

Dal 1950 fino ai primi anni del 1970, era tipico per gli utenti di computer utilizzare software liberi associati a software gratuiti. Quindi il software “commerciale” esisteva da sempre, ma i costi elevati dell’hardware facevano sì che il business delle aziende non fosse concentrato sul software, che era considerato una parte naturale del prodotto, ed i cui codici sorgenti erano in genere pubblici. Per esempio venivano formate organizzazioni di utenti e fornitori per facilitare lo scambio di software. Inoltre poiché i software erano spesso scritti in un linguaggio ad alto livello, il codice sorgente veniva distribuito in riviste di computer (come Creative Computing, Softside, Computer, Byte, ecc) e libri, come il bestseller BASIC Computer Games.

Dal 1970 la situazione cambiò: il software diventava sempre più complesso e difficile da realizzare e le aziende iniziarono a non distribuire i codici sorgenti e ad obbligare i propri dipendenti a non rivelare nulla per non avvantaggiare la concorrenza; inoltre con il crollo dei costi dell’hardware, lo sviluppo commerciale del software divenne un business notevole ed il codice sorgente divenne sempre più un investimento prezioso che poteva da un lato far acquisire una fetta di tale mercato in rapida crescita e dall’altro legare i propri utenti al proprio software mantenendo il segreto sui metodi utilizzati per lo sviluppo di sistemi e applicazioni.

L’industria del software iniziò così ad utilizzare misure tecniche (come ad esempio la distribuzione di copie di programmi per computer solo in binario) per impedire agli utenti di computer di essere in grado di studiare e adattare il software come meglio credevano.

Nel 1980, venne emessa la US Software Copyright Act, che introduce la tutela del diritto d’autore anche per il software, inerente a copia, modifica e distribuzione. Questa scelta è stata favorita dalla lobby dei produttori hardware, in primo luogo dalla IBM. In questo modo le aziende cominciarono ad utilizzare la legge sul diritto d’autore per impedire ai concorrenti di leggere e modificare i loro prodotti, assicurandosi il controllo dei propri clienti che, senza più poter vedere e modificare il codice sorgente del software, non potevano più adattarlo alle loro esigenze, ma dovevano chiedere alle aziende di farlo per loro.

Nel 1981 si stabilisce un precedente riguardo al diritto d’autore vigente sul software, ciò in seguito all’esito della sentenza Diamond v. Diehr. Un altro fatto che contribuirà alla ideazione e creazione del software libero è l’atto normativo conosciuto come Bayh-Dole Act, che permette di privatizzare e proteggere con proprietà intellettuale il risultato di ricerca accademica.

Inoltre all’inizio degli anni ‘80 viene frazionata AT&T Corporation (che negli Stati Uniti d’America era l’equivalente dell’italiana SIP) che fino a quel punto era rimasta quasi l’unica società fornitrice di servizi di telefonia in USA, di fatto ponendo fine a una situazione di monopolio sul settore. L’antitrust americana aveva precedentemente imposto a AT&T di non poter vendere nulla che non fosse servizi telefonici. La società era comunque divenuta molto ricca e aveva avuto la possibilità di sviluppare un sistema operativo, Unix, pur non potendolo commercializzare. Per questo, fino al momento della divisione avvenuta nel 1984, Unix venne messo a disposizione delle università e dei loro laboratori, mentre da quell’anno in avanti Unix divenne oggetto di possibile vendita.

Nel 1983 Richard Stallman, uno degli autori originali del popolare programma Emacs e membro di lunga data della comunità hacker presso il laboratorio di intelligenza artificiale del Massachusetts Institute of Technology (MIT), fondò il progetto GNU (GNU’s Not Unix) con l’intenzione di creare GNU (: un sistema operativo completamente libero.

Stallman aveva bisogno di uno strumento che potesse tutelare l’utente alla modifica del codice sorgente del software. Questo perché il diritto di autore si applica di default, anche senza azioni da parte dell’autore stesso che dal momento della nascita del software è l’unico ad avere diritto di modifica. Lo strumento giuridico più adatto a questo scopo si rivela essere la licenza di software libero. Nel 1989 Stallman redige la GNU General Public License (GNU-GPL) che permetteva la condivisione del codice sorgente e non solo, la incentivava, obbligando chi apportasse modifiche al software di ridistribuirlo con la stessa licenza.

Grazie alla collaborazione di molti sviluppatori volontari, all’uso di Internet presso università e istituti di ricerca per la coordinazione del progetto e al kernel Linux di Linus Torvalds, nel 1991 nacque GNU/Linux, un clone di Unix liberamente utilizzabile, modificabile e ridistribuibile.[Nel 1991 l’uso di internet era molto limitato]

Nella sua dichiarazione iniziale del progetto e del suo scopo, Stallman ha espressamente citato, come motivazione, la sua opposizione alla richiesta di accettare i vari accordi di non divulgazione e le licenze restrittive dei software che vietano la libera condivisione di software-sviluppo potenzialmente redditizio, un divieto che è direttamente in contrasto con la tradizionale etica hacker. Infatti egli crea la definizione di software libero definendolo attraverso le “quattro libertà”:

L’accesso al codice sorgente diventa prerequisito del concetto di software libero.

«I started the free software movement to replace user-controlling non-free software with freedom-respecting free software. With free software, we can at least control what software does in our own computers.»

«Ho avviato il movimento del software libero per rimpiazzare il software non libero che controlla l'utente con software libero rispettoso della libertà. Con il software libero, possiamo almeno avere il controllo su quel che il software fa nei nostri computer.»

(Richard Stallman, The Anonymous WikiLeaks protests are a mass demo against control)

Lo sviluppo dei software per il sistema operativo GNU è iniziata nel gennaio 1984, e la Free Software Foundation (FSF) è stata fondata nel mese di ottobre 1985. Ha sviluppato una definizione di software libero e il concetto di “copyleft”, progettata per garantire la libertà software per tutti.

Il kernel Linux, iniziato da Linus Torvalds, è stato rilasciato come codice sorgente liberamente modificabile nel 1991. La prima licenza è una licenza di software proprietario. Tuttavia, con la versione 0.12, nel febbraio 1992, pubblicarono il progetto sotto la GNU General Public License. Essendo molto simile a Unix, kernel di Torvalds ha attirato l’attenzione di programmatori volontari.

Nel 1998 è stata inoltre creata un’organizzazione, l’Open Source Initiative, che fornisce normalmente licenze libere (c’è distinzione tra open source e software libero).

Descrizione

Il software libero rispetta la libertà degli utenti. Ciò significa che gli utenti hanno la libertà di eseguire, copiare, studiare, distribuire, migliorare, modificare il software. Per capire tale concetto di libertà si dovrebbe pensare al concerto di “libertà di parola”: una libertà che tutti hanno il diritto di avere. La parola «libero», tuttavia, non implica la possibilità di utilizzare tale software in maniera indiscriminata: il software libero è comunque soggetto ad una licenza d’uso, a differenza ad esempio del software di pubblico dominio.

Rispetto al software proprietario, il software libero si basa su un diverso modello di licenza, su un diverso modello di sviluppo e su un diverso modello economico. Esso si contrappone quindi al software proprietario ed è differente dalla concezione open source, incentrandosi sulla libertà dell’utente e non solo sull’apertura del codice sorgente, che è comunque un pre-requisito del software libero.

La Free Software Foundation, organizzazione non ascopo di lucro fondata nel 1985 da Richard Stallman, consiglia di utilizzare il termine «software libero», piuttosto che «software open source», perché, come essa afferma in un documento sulla filosofia del software libero, quest’ultimo termine e la campagna di marketing associato ad esso si concentra sulle questioni tecniche di sviluppo del software, evitando la questione della libertà degli utenti. La FSF rileva inoltre che «open source» ha esattamente un significato specifico nell’inglese comune, vale a dire che “è possibile guardare il codice sorgente.” Stallman afferma tuttavia che il termine «software libero» può portare a due interpretazioni differenti, una delle quali è coerente con la definizione FSF di Software libero, così da esservi almeno qualche possibilità di essere inteso correttamente, a differenza del termine «open source». Stallman ha anche affermato che, considerare i vantaggi pratici del software libero equivale a valutare i vantaggi pratici del non essere ammanettato, nel senso che non è necessario per un individuo considerare delle ragioni pratiche al fine di rendersi conto che essere ammanettato limita la propria libertà. «Libre» è un termine spesso usato per evitare l’ambiguità dell’aggettivo «free» in lingua inglese e l’ambiguità con l’uso precedente del software libero, come software di pubblico dominio.

Le quattro libertà

Secondo la Free Software Foundation, un software si può definire «libero» solo se garantisce quattro «libertà fondamentali»:

  • Libertà 0: Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo. La libertà di usare un programma significa libertà per qualsiasi tipo di persona od organizzazione di utilizzarlo su qualsiasi tipo di sistema informatico, per qualsiasi tipo di attività e senza dover successivamente comunicare con lo sviluppatore o con qualche altra entità specifica. Quello che conta per questa libertà è lo scopo dell’utente, non dello sviluppatore; come utenti potete eseguire il programma per i vostri scopi; se lo ridistribuite a qualcun altro, egli è libero di eseguirlo per i propri scopi, ma non potete imporgli i vostri scopi.
  • Libertà 1: Libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo in base alle proprie necessità. L’accessibilità al codice sorgente è una condizione necessaria per il software libero, altrimenti non avrebbero senso neanche la libertà 0 e la 2.
  • Libertà 2: Libertà di ridistribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo.
  • Libertà 3: Libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio. Questa libertà comprende quella di usare e rilasciare le versioni modificate come software libero. Una licenza libera può anche permettere altri modi di distribuzione; insomma, non c’è l’obbligo che si tratti di una licenza con copyleft. Tuttavia, una licenza che imponesse che le versioni modificate non siano libere non si può categorizzare come licenza libera.

Un programma è software libero se l’utente ha tutte queste libertà. In particolare, se è libero di ridistribuire copie, con o senza modifiche, gratis o addebitando delle spese di distribuzione a chiunque ed ovunque. Essere liberi di fare queste cose significa (tra l’altro) che non bisogna chiedere o pagare nessun permesso. La gratuità è quindi conseguenza della libertà e non viceversa (ad esempio il freeware non è software libero ma software proprietario concesso ad uso gratuito).

Differenza con l’open source

Il termine open source indica criteri leggermente più deboli di quelli previsti per il software libero. Per quanto ne sappiamo, tutto il software libero esistente è anche open source ma non viceversa, infatti nonostante quasi tutto il software open source che è stato rilasciato sotto forma di codice sorgente sia anche software libero, ci sono eccezioni. Innanzitutto, alcune licenze open source sono troppo restrittive (ad esempio: “Open Watcom” non è libero perché la sua licenza non permette di realizzare una versione modificata e usarla in privato) e non si possono considerare libere, ma tali licenze sono poco usate.

Essendo la disponibilità del codice sorgente uno dei requisiti fondamentali che accomuna il software libero ed il software open source, spesso si è indotti a considerare i due concetti equivalenti, ma in realtà non lo sono. In ogni caso, gli insiemi di applicativi designati da software libero e open source coincidono a meno di poche eccezioni. La differenza fondamentale è nel tipo di approccio: parlando di software libero si pone l’accento sugli aspetti sociologici ed etici, che sono volutamente rimossi nella visione open source.

Licenze

Le licenze libere non sono tese a garantire il guadagno dello sviluppatore o delle software house, ma la disponibilità, per la comunità degli utenti, di software che sia modificabile ed utilizzabile come parte di altre applicazioni. L’idea alla base delle garanzie previste da queste licenze, in particolare le più “restrittive”, sono fondate sugli ideali etici proposti dalla filosofia del software libero ed incentivano quindi la condivisione.

Esiste una gran quantità di licenze di software libero, ma non è importante conoscerle nel dettaglio, quello che ci interessa è capire i principi su cui sono basate.

Le licenze per il software libero possono essere sommariamente divise in due categorie:

  • licenze copyleft in cui le opere derivate devono mantenere almeno lo stesso livello di libertà offerte per l’opera originale;
  • licente non copyleft in cui le opere derivare possono essere ridistribuite con licenze più restrittive rispetto alla licenza dell’opera originale.

GNU GPL

La GNU General Public License (comunemente indicata con l’acronimo GNU GPL o semplicemente GPL) è una licenza fortemente copyleft per software libero, originariamente stesa nel 1989 da Richard Stallman per patrocinare i programmi creati per il sistema operativo GNU. La GPL è stata rinnovata due volte, nel 1991 (GPL2) e nel 2007 con la versione GPL3.

Questa licenza ha una grande importanza storica perchè è stata la prima licenza per il software libero. L’idea innovativa di Stallman è stata quella di non lasciare il software di pubblico dominio poichè in quel caso chiunque avrebbe potuto usare tale software per produrre software proprietario. Proteggendo invece il software per mezzo delle leggi sul copyright e distribuendolo con una licenza che obbligava chiunque a ridistribuire tale codice sotto le stesse condizioni si garantivano le quattro libertà proposte da Stallman e la sua FSF.

Creative Commons

Nel tempo sono nate moltissime attività commerciali che hanno saputo sfruttare commercialmente le caratteristiche del software open source. Per queste aziende è nata la necessità di sviluppare licenze di vario genere che offrano condizioni di ridistribuzione del software a metà strada tra il software libero e il software proprietario. Un esempio particolarmente famoso di questo tipo di licenze è costituito dalle licenze Creative Commons.

Collocazione delle licenze Creative Commons.

Una Licenza CC (Creative Common) può essere utilizzata quando un autore vuole concedere ad altri il diritto di usare o modificare un’opera che lui stesso (l’autore) ha creato. CC permette all’autore di scegliere le modalità di utilizzo (per esempio può permettere solo un uso non commerciale di una determinata opera) e protegge le persone che usano o diffondono un’opera di altri dalla preoccupazione di infrangere il diritto d’autore, purché siano rispettate le condizioni specificate dall’autore stesso nella licenza.

Logo di Creative Commons.

Vi sono diversi tipi di Creative Commons. Le licenze differiscono per numerose combinazioni che condizionano i termini per la loro distribuzione. Furono inizialmente messe in rete il 16 dicembre 2002 da Creative Commons (CC), un’organizzazione non a scopo di lucro statunitense fondata nel 2001 da Lawrence Lessig, professore di diritto all’Harvard University.

Queste licenze si ispirano al modello copyleft già diffuso negli anni precedenti in ambito informatico e possono essere applicate a tutti i tipi di opere dell’ingegno. In sostanza rappresentano una via di mezzo tra copyright completo (full-copyright) e pubblico dominio (public domain): da una parte la protezione totale realizzata dal modello all rights reserved (“tutti i diritti riservati”) e dall’altra no rights reserved (“assenza totale di diritti”), basandosi dunque sul concetto some rights reserved (“alcuni diritti riservati”): in questo senso è quindi l’autore di un’opera che decide quali diritti riservarsi e quali concedere liberamente.

Le licenze

Le licenze Creative Commons, giunte nel novembre 2013 alla versione 4.0, sono idealmente strutturate in due parti: la prima parte indica le libertà concesse dall’autore per la propria opera; la seconda, invece, espone le condizioni di utilizzo dell’opera stessa.

Le libertà

Le libertà sono:

Simbolo Condizione Descrizione
Creative Commons Free Share new icon Condividere
To Share
Libertà di copiare, distribuire o trasmettere l’opera.
Creative Commons Free Mixer icon Rielaborare
To Remix
Libertà di riadattare l’opera.
Le condizioni di utilizzo dell’opera

Le condizioni di utilizzo dell’opera, anche dette clausole, sono quattro e a ognuna è associato un simbolo grafico allo scopo di renderne più facile il riconoscimento:

Simbolo Sigla Condizione Descrizione
Creative Commons Attribution new icon BY Attribuzione
Attribution
Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e dei lavori derivati da questa a patto che venga indicato l’autore dell’opera, con le modalità da questi specificate. Ad esempio, potrebbe essere richiesto a chi cita un’opera di indicare oltre all’autore anche il link al sito web dell’opera o dell’autore.
Creative Commons Noncommercial icon NC Non commerciale
Non-Commercial
Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e lavori derivati da essa o sue rielaborazioni, solo per scopi non commerciali.
Creative Commons No Derivative Works icon ND Non opere derivate
No Derivative Works
Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano soltanto copie identiche (verbatim) dell’opera; non sono ammesse opere derivate o sue rielaborazioni.
Creative Commons Share Alike icon SA Condividi allo stesso modo
Share-Alike
Permette che altri distribuiscano lavori derivati dall’opera solo con una licenza identica (non maggiormente restrittiva) o compatibile con quella concessa con l’opera originale (vedi anche copyleft).
Combinazioni: le sei licenze CC

Ognuna di queste quattro clausole individua una condizione particolare a cui il fruitore dell’opera deve sottostare per poterne usufruire liberamente. Combinandole si ottengono sedici possibili combinazioni, di cui undici sono licenze CC valide, mentre le altre cinque non lo sono. Di queste ultime, quattro includono sia la clausola ND (No Derivative Works) sia quella SA (Share-Alike) che sono mutuamente esclusive, mentre una non è valida perché non contiene né la ND né la SA.

Delle undici combinazioni valide, le cinque che non presentano la clausola BY (Attribution) sono state ritirate perché richieste da meno del 3% degli utenti; rimangono tuttavia disponibili per la consultazione sul sito di Creative Commons.

Quindi le licenze Creative Commons in uso sono sei più la CC0 (o pubblico dominio):

Simboli Sigla Descrizione
Creative Commons Attribution new icon CC BY Permette di distribuire, modificare, creare opere derivate dall’originale, anche a scopi commerciali, a condizione che venga riconosciuta una menzione di paternità adeguata, fornito un link alla licenza e indicato se sono state effettuate delle modifiche.
Creative Commons Attribution new icon Creative Commons Share Alike icon CC BY-SA Permette di distribuire, modificare, creare opere derivate dall’originale, anche a scopi commerciali, a condizione che venga riconosciuta una menzione di paternità adeguata, fornito un link alla licenza e indicato se sono state effettuate delle modifiche; e che alla nuova opera venga attribuita la stessa licenza dell’originale (quindi a ogni opera derivata verrà consentito l’uso commerciale).
Questa licenza, per certi versi, può essere ricondotta alle licenze “copyleft” del software libero e open source.
Creative Commons Attribution new icon Creative Commons No Derivative Works icon CC BY-ND Permette di distribuire l’opera originale senza alcuna modifica, anche a scopi commerciali, a condizione che venga riconosciuta una menzione di paternità adeguata e venga fornito un link alla licenza. Quindi non consente la distribuzione di opere modificate, remixate o basate sull’opera soggetta a questa licenza.
Creative Commons Attribution new icon Creative Commons Noncommercial icon CC BY-NC Permette di distribuire, modificare, creare opere derivate dall’originale, ma non a scopi commerciali, a condizione che venga: riconosciuta una menzione di paternità adeguata, fornito un link alla licenza e indicato se sono state effettuate delle modifiche. Chi modifica l’opera originale non è tenuto a utilizzare le stesse licenze per le opere derivate.
Creative Commons Attribution new icon Creative Commons Noncommercial icon Creative Commons Share Alike icon CC BY-NC-SA Permette di distribuire, modificare, creare opere derivate dall’originale, ma non a scopi commerciali, a condizione che venga: riconosciuta una menzione di paternità adeguata, fornito un link alla licenza e indicato se sono state effettuate delle modifiche; e che alla nuova opera venga attribuita la stessa licenza dell’originale (quindi a ogni opera derivata non verrà consentito l’uso commerciale).
Creative Commons Attribution new icon Creative Commons Noncommercial icon Creative Commons No Derivative Works icon CC BY-NC-ND Questa licenza è la più restrittiva: consente soltanto di scaricare e condividere i lavori originali a condizione che non vengano modificati né utilizzati a scopi commerciali, sempre attribuendo la paternità dell’opera all’autore.
CC0: pubblico dominio

Collocazione delle licenze Creative Commons.

CC0, anche detto CC Zero, annunciato nel corso del 2007 e reso disponibile al pubblico nel 2009, è uno strumento, definito anche protocollo, dotato di valore legale, per rinunciare al copyright sull’opera in tutto il mondo. Questo strumento, che non è una licenza, colloca il materiale nel pubblico dominio nelle giurisdizioni in cui è possibile, intendendo l’espressione “pubblico dominio” nel senso più ampio consentito dalla legge; nelle altre giurisdizioni, rinuncia al maggior numero di diritti possibile tramite una semplice licenza permissiva.

A livello globale, poche giurisdizioni consentono l’attribuzione al pubblico dominio delle opere di coloro che intendono operare in favore dell’ampliamento del sapere pubblico. Spesso risulta complesso, se non impossibile, rinunciare ai propri diritti morali, in quanto automaticamente applicati dalla quasi totalità delle giurisdizioni nazionali. Rispetto al concetto di pubblico dominio, la licenza CC0 si propone di annullare le ambiguità dovute alle differenti legislature locali, con un’attribuzione che rappresenti su scala globale la rinuncia a qualsiasi tipo di diritto autoriale. Per tali scopi non è stata adattata a nessuna legislazione specifica.

Appare chiaro come il progetto CC Zero sia fortemente influenzato dal diritto anglosassone e ancor più da quello statunitense, in cui le possibilità di “rinunciare” ai diritti su un’opera sono decisamente maggiori - in numero e ampiezza - rispetto all’ordinamento giuridico italiano.

Modelli di business per software open source

Le aziende il cui centro commerciale si concentra sullo sviluppo di software open source utilizzano una varietà di modelli di business per risolvere la sfida di come fare soldi fornendo software che è per definizione concesso in licenza gratuitamente. Ciascuna di queste strategie aziendali si basa sulla premessa che gli utenti di tecnologie open source sono disposti ad acquistare funzionalità software aggiuntive con licenze proprietarie o ad acquistare altri servizi o elementi di valore che integrano il software open source che è fondamentale per il business.

Esistono diversi tipi di modelli di business per realizzare profitti utilizzando software open source (OSS) o finanziare la creazione e lo sviluppo e la manutenzione continui. Di seguito è riportato un elenco degli attuali modelli di business commerciali legali e esistenti nel contesto del software open source e delle licenze open source. L’accettazione di questi approcci varia; alcuni di questi approcci sono consigliati (come open core e servizi di vendita), altri sono accettati, mentre altri ancora sono considerati controversi o addirittura non etici dalla comunità open source.

  • Vendere servizi come formazione supporto tecnico o consulenza
  • Vendere articoli di merchandising (magliette tazze…)
  • Associare al software open source servizi, ad esempio fornire un servizio basato sul software open source (ad es. servizi in cloud da server che eseguono software open source)
  • Chiedere donazioni volontarie
  • Crowdfunding
  • Doppia licenza o open core: parte del software open source e parte proprietario
  • Vendita di certificati e uso del marchio
  • Vendita di componenti aggiuntivi proprietari
  • Vendita di sistemi di aggiornamento proprietari
  • Open sourcing a fine vita o ritardato
  • Finanziamenti pubblici o privati

Risulta evidente che le opportunità di business sono moltissime e ne sono state riportate solo alcune. Se vuoi approfondire l’argomento, in questa pagina puoi trovare tutte le spiegazioni dettagliate con esempi di ogni modello di business.

Riferimenti esterni


Dispensa di Informatica per il Liceo Scientifico delle Scienze Applicate - A cura di Francesco Tormene